Un’altra leggenda che resiste nei secoli è l’anemia
del maratoneta. Non ci si può definire un vero corridore se non
si è sofferto almeno una volta nella vita di questo
“importantissimo morbo”; ma se andate ad indagare vi
accorgerete che pochi sanno veramente di che cosa si tratti e come lo si contrae, convinti che sia un’ineluttabile esperienza
cui si deve andare incontro se si vogliono raggiungere certi risultati. Ma
fin qui nulla di male: la cosa peggiore è l’abuso
di reintegratori a base di FERRO che si assumono A SCOPO PREVENTIVO.
Cerchiamo di fare chiarezza.
Per prima cosa diciamo che l’ineguatezza della
disponibilità di ferro per la sintesi dell’emoglobina, costituisce
l’evento essenziale dell’anemia ferro-carenziale. Essa trae origine,
nella maggior parte dei casi, da una carenza delle riserve di ferro, cui
si può giungere attraverso vie diverse: perdite protratte di sangue,
carenza alimentare del metallo, alterata capacità d’assorbimento
intestinale.
Raramente un’alimentazione quantitativamente
deficiente e qualitativamente inadeguata rappresenta, nell’adulto, la
causa unica di una anemia
ferro-priva; più spesso, è solo una delle varie cause, come le perdite
di sangue o l’aumentato fabbisogno del metallo. Minore importanza si
tende a dare all’alterata capacità
di assorbimento intestinale che invece in molti ormai riteniamo l’alterazione
fondamentale.
Mi spiego meglio: fermo restando che durante i
periodi di maggior carico la necessità di ferro disponibile aumenta
(senza parlare delle esigenze particolari delle donne) e dato per scontato
che è poco probabile essere carenti di ferro soltanto con
un’alimentazione inadeguata (specie se consideriamo un atleta in un
periodo d’allenamento), allora la nostra attenzione dovrebbe rivolgersi
alla capacità intestinale d’assorbimento del ferro che dovrebbe
adeguarsi alle nuove esigenze ma che invece risulta molto facilmente
ridotta per mille comunissimi motivi. Tra questi basti ricordare
l’aumentato transito intestinale dovuto a stati di tensione emotiva,
coliti croniche di diversa origine ma di frequente osservazione,
intolleranze spesso misconosciute (tra le quali quella al latte- vedi
articoli precedenti), le combinazioni alimentari, per non dimenticare le
cause specifiche del corridore, cioè lo scuotimento della matassa
intestinale durante la corsa ( motivo peraltro di perdite ematiche) e
l’aumentata produzione di enterormoni che accentuando la peristalsi
intestinale (cioè i movimenti fisiologici che servono al progredire del
suo contenuto) che diminuiscono il tempo di permanenza del contenuto
intestinale stesso con riduzione dell’assorbimento dei nutrienti e,
ovviamente, anche del ferro.

Ma veniamo al dunque. L’anemia del maratoneta in
realtà esiste e se ne distinguono due forme: l’anemia acuta e l’anemia
del corridore propriamente detta.
·
Il
primo tipo è dovuto alla rottura di numerosissimi globuli rossi in un
tempo abbastanza breve tale, comunque, da non permettere all’organismo
di produrne di nuovi in tempo utile. E’ quello che accade dopo sforzi
molto prolungati (come le ultramaratone) o dopo incrementi notevoli e
improvvisi del carico di lavoro, soprattutto legati al chilometraggio. La
gran quantità di chilometri percorsi in una sola volta o in pochi giorni
consecutivi (ben oltre le abitudini dell’atleta) determina la
distruzione di gran quantità di globuli rossi cui concorrono numerosi
fattori come l’aumento della temperatura corporea, la variazione
dell’acidità del sangue, la gran quantità di radicali liberi prodotti,
ma sopratutto i fattori meccanici come il su citato “scuotimento”
dell’intestino o della vescica con conseguenti microemorragie o
l’ancora più importante (quantitativamente) “schiacciamento” dei
globuli rossi nell’impatto dei piedi col terreno. A questo va aggiunta
la notevole riduzione dell’assorbimento del ferro (come su detto) che
sopratutto in questi momenti, vale “oro”.
·
Molto
più complesso è il secondo tipo di anemia in quanto basato
essenzialmente sulla carenza di ferro. Le sue motivazioni possono essere
molteplici: ad un aumento di perdite (che costituisce tuttosommato la
principale causa del primo tipo) più facilmente recuperabili per quantità
e tempi di recupero, si associano, in questo caso, un diminuito
assorbimento del ferro ed una diminuita utilizzazione del metallo per
motivi metabolici e biochimici. Il problema è che, mentre l’anemia
acuta può “fermare” un atleta, che quindi può recuperare in tempi
ragionevoli anche grazie alla capacità di adattamento dell’organismo,
questa seconda forma di anemia è senz’altro più subdola ed in continua
evoluzione. L’atleta che all’inizio non ha disturbi a riposo, può
invece avvertire una riduzione dell’efficienza fisica ed un calo della
prestazione durante gli allenamenti o le gare. Progressivamente, i suoi
tempi di recupero si allungano e i muscoli sono doloranti anche dopo
normali sollecitazioni.
A questo punto occorre fare un’analisi del sangue e, più precisamente, un emocromo.
Per prima cosa occorre sapere che i valori non
vanno mai presi in considerazione in senso assoluto, ma sempre
valutati tenendoli a confronto, e con un occhio ai risultati delle analisi
precedenti. Non va dimenticato, inoltre, che i valori di riferimento che
prendiamo in considerazione sono valori
medi dai quali sono esclusi quelli troppo alti e quelli molto
bassi che a volte riscontriamo in alcuni soggetti che, pur non rientrando
nella media, stanno comunque bene. Attenzione quindi ad etichettare come
“anemico” chi ha sempre avuto “normalmente” valori bassi di
emoglobina. A volte, valori più bassi possono essere dovuti a diluizione
del sangue, come è vero che valori più alti (senza esagerare) possono
essere la conseguenza di un’emoconcentrazione come può avvenire dopo
una gara o comunque con un’abbondante sudorazione.
L’EMOCROMO
ci fornisce numerose informazioni, ma nello specifico i valori da prendere
in considerazione sono:
·
Eritrociti. Conosciuti come “globuli
rossi”, sono le preziose cellule che, contenendo l’emoglobina,
trasportano l’ossigeno ai tessuti. Un valore basso indica anemia.
·
Ematocrito (HCM). Indica la percentuale del sangue costituito dalla
parte cellulare (globuli rossi, globuli bianchi, piastrine ecc.). Un
valore medio indicativo è 45% con oscillazioni del 4% in più o in meno.
Naturalmente, questo dato è solo indicativo e non prende in
considerazione le differenze
individuali e di sesso. Senza parlare ora di doping (che sarà l’oggetto
di altro articolo) vorrei ricordare che, se è pur vero che
l’allenamento in media-alta quota per un tempo sufficientemente lungo può
“naturalmente” aumentare la percentuale di globuli rossi, non va però
dimenticato che l’adattamento dato dall’allenamento porta ad un
aumento della parte liquida del sangue (plasma), aumento che comporterà
una riduzione dell’ematocrito per emodiluizione (HCM: 40-44%). Se è pur
vero che più globuli rossi significano più ossigeno, è altrettanto vero
che più globuli rossi (= ematocrito alto) significano maggiore densità e
quindi iperviscosità e quindi aumentata tendenza alla trombosi, nonché
maggiore impegno del cuore che è costretto a pompare un “gel”
e non meno importante, ma
senz’altro meno pericoloso, minore velocità di distribuzione
dell’ossigeno e di eliminazione delle scorie dal tessuto muscolare (=
minore velocità di recupero).
·
Emoglobina (Hb). E’ essenziale per il trasporto dell’ossigeno.
E’ costituita da una proteina, la globina, e da una struttura, l’eme,
che contiene il ferro, a cui si lega l’ossigeno. Il suo valore medio
oscilla nella donna da 11,5 a 16,5 g/100ml e nell’uomo da 13,5 a 18
g/100ml. Un suo valore basso può, ad esempio, essere anche determinato da
una minore disponibilità di aminoacidi a catena ramificata.
Fine Prima Parte