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L'ARTE DI STAR BENE
L'ANEMIA DEL MARATONETA

A cura del Dott. Pietro Siragusa

I    PUNTATA

Un’altra leggenda che resiste nei secoli è l’anemia del maratoneta. Non ci si può definire un vero corridore se non si è sofferto almeno una volta nella vita di questo  “importantissimo morbo”; ma se andate ad indagare vi accorgerete che pochi sanno veramente di che cosa si tratti e come lo si contrae, convinti che sia un’ineluttabile esperienza cui si deve andare incontro se si vogliono raggiungere certi risultati. Ma fin qui nulla di male: la cosa peggiore è l’abuso di reintegratori a base di FERRO che si assumono A SCOPO PREVENTIVO.

Cerchiamo di fare chiarezza.

Per prima cosa diciamo che l’ineguatezza della disponibilità di ferro per la sintesi dell’emoglobina, costituisce l’evento essenziale dell’anemia ferro-carenziale. Essa trae origine, nella maggior parte dei casi, da una carenza delle riserve di ferro, cui si può giungere attraverso vie diverse: perdite protratte di sangue, carenza alimentare del metallo, alterata capacità d’assorbimento intestinale.

Raramente un’alimentazione quantitativamente deficiente e qualitativamente inadeguata rappresenta, nell’adulto, la causa unica di una anemia ferro-priva; più spesso, è solo una delle varie cause, come le perdite di sangue o l’aumentato fabbisogno del metallo. Minore importanza si tende a dare all’alterata capacità di assorbimento intestinale che invece in molti ormai riteniamo l’alterazione fondamentale.

Mi spiego meglio: fermo restando che durante i periodi di maggior carico la necessità di ferro disponibile aumenta (senza parlare delle esigenze particolari delle donne) e dato per scontato che è poco probabile essere carenti di ferro soltanto con un’alimentazione inadeguata (specie se consideriamo un atleta in un periodo d’allenamento), allora la nostra attenzione dovrebbe rivolgersi alla capacità intestinale d’assorbimento del ferro che dovrebbe adeguarsi alle nuove esigenze ma che invece risulta molto facilmente ridotta per mille comunissimi motivi. Tra questi basti ricordare l’aumentato transito intestinale dovuto a stati di tensione emotiva, coliti croniche di diversa origine ma di frequente osservazione, intolleranze spesso misconosciute (tra le quali quella al latte- vedi articoli precedenti), le combinazioni alimentari, per non dimenticare le cause specifiche del corridore, cioè lo scuotimento della matassa intestinale durante la corsa ( motivo peraltro di perdite ematiche) e l’aumentata produzione di enterormoni che accentuando la peristalsi intestinale (cioè i movimenti fisiologici che servono al progredire del suo contenuto) che diminuiscono il tempo di permanenza del contenuto intestinale stesso con riduzione dell’assorbimento dei nutrienti e, ovviamente, anche del ferro.

Ma veniamo al dunque. L’anemia del maratoneta in realtà esiste e se ne distinguono due forme: l’anemia acuta  e l’anemia del corridore propriamente detta.

·        Il primo tipo è dovuto alla rottura di numerosissimi globuli rossi in un tempo abbastanza breve tale, comunque, da non permettere all’organismo di produrne di nuovi in tempo utile. E’ quello che accade dopo sforzi molto prolungati (come le ultramaratone) o dopo incrementi notevoli e improvvisi del carico di lavoro, soprattutto legati al chilometraggio. La gran quantità di chilometri percorsi in una sola volta o in pochi giorni consecutivi (ben oltre le abitudini dell’atleta) determina la distruzione di gran quantità di globuli rossi cui concorrono numerosi fattori come l’aumento della temperatura corporea, la variazione dell’acidità del sangue, la gran quantità di radicali liberi prodotti, ma sopratutto i fattori meccanici come il su citato “scuotimento” dell’intestino o della vescica con conseguenti microemorragie o l’ancora più importante (quantitativamente) “schiacciamento” dei globuli rossi nell’impatto dei piedi col terreno. A questo va aggiunta la notevole riduzione dell’assorbimento del ferro (come su detto) che sopratutto in questi momenti, vale “oro”.

·        Molto più complesso è il secondo tipo di anemia in quanto basato essenzialmente sulla carenza di ferro. Le sue motivazioni possono essere molteplici: ad un aumento di perdite (che costituisce tuttosommato la principale causa del primo tipo) più facilmente recuperabili per quantità e tempi di recupero, si associano, in questo caso, un diminuito assorbimento del ferro ed una diminuita utilizzazione del metallo per motivi metabolici e biochimici. Il problema è che, mentre l’anemia acuta può “fermare” un atleta, che quindi può recuperare in tempi ragionevoli anche grazie alla capacità di adattamento dell’organismo, questa seconda forma di anemia è senz’altro più subdola ed in continua evoluzione. L’atleta che all’inizio non ha disturbi a riposo, può invece avvertire una riduzione dell’efficienza fisica ed un calo della prestazione durante gli allenamenti o le gare. Progressivamente, i suoi tempi di recupero si allungano e i muscoli sono doloranti anche dopo normali sollecitazioni.

A questo punto occorre  fare un’analisi del sangue e, più precisamente, un emocromo.

Per prima cosa occorre sapere che i valori non vanno mai presi in considerazione in senso assoluto, ma sempre valutati tenendoli a confronto, e con un occhio ai risultati delle analisi precedenti. Non va dimenticato, inoltre, che i valori di riferimento che prendiamo in considerazione sono valori medi dai quali sono esclusi quelli troppo alti e quelli molto bassi che a volte riscontriamo in alcuni soggetti che, pur non rientrando nella media, stanno comunque bene. Attenzione quindi ad etichettare come “anemico” chi ha sempre avuto “normalmente” valori bassi di emoglobina. A volte, valori più bassi possono essere dovuti a diluizione del sangue, come è vero che valori più alti (senza esagerare) possono essere la conseguenza di un’emoconcentrazione come può avvenire dopo una gara o comunque con un’abbondante sudorazione.

 

L’EMOCROMO ci fornisce numerose informazioni, ma nello specifico i valori da prendere in considerazione sono:

·        Eritrociti.  Conosciuti come “globuli rossi”, sono le preziose cellule che, contenendo l’emoglobina, trasportano l’ossigeno ai tessuti. Un valore basso indica anemia.

·        Ematocrito (HCM). Indica la percentuale del sangue costituito dalla parte cellulare (globuli rossi, globuli bianchi, piastrine ecc.). Un valore medio indicativo è 45% con oscillazioni del 4% in più o in meno. Naturalmente, questo dato è solo indicativo e non prende in considerazione  le differenze individuali e di sesso. Senza parlare ora di doping (che sarà l’oggetto di altro articolo) vorrei ricordare che, se è pur vero che l’allenamento in media-alta quota per un tempo sufficientemente lungo può “naturalmente” aumentare la percentuale di globuli rossi, non va però dimenticato che l’adattamento dato dall’allenamento porta ad un aumento della parte liquida del sangue (plasma), aumento che comporterà una riduzione dell’ematocrito per emodiluizione (HCM: 40-44%). Se è pur vero che più globuli rossi significano più ossigeno, è altrettanto vero che più globuli rossi (= ematocrito alto) significano maggiore densità e quindi iperviscosità e quindi aumentata tendenza alla trombosi, nonché maggiore impegno del cuore che è costretto a pompare un “gel” e  non meno importante, ma senz’altro meno pericoloso, minore velocità di distribuzione dell’ossigeno e di eliminazione delle scorie dal tessuto muscolare (= minore velocità di recupero).

·        Emoglobina (Hb). E’ essenziale per il trasporto dell’ossigeno. E’ costituita da una proteina, la globina, e da una struttura, l’eme, che contiene il ferro, a cui si lega l’ossigeno. Il suo valore medio oscilla nella donna da 11,5 a 16,5 g/100ml e nell’uomo da 13,5 a 18 g/100ml. Un suo valore basso può, ad esempio, essere anche determinato da una minore disponibilità di aminoacidi a catena ramificata.

Fine Prima Parte

 

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